La famiglia di Schönstatt Australia si è riunita nel santuario di Mulgoa, vicino a Sydney, per l’incontro annuale dei dirigenti. Sul tema dell’incontro,
“In che modo Schönstatt ha ispirato la mia vita?”
ci sono state quattro testimonianze, tra cui quella di suor M. Thomasine Treese, la quale, come gli altri dirigenti, si è servita del collegamento via Zoom. Suor M. Thomasine ce la riporta volentieri qui di seguito.
Scrivere a Maria qualcosa ogni sera
Schönstatt non solo mi ha ispirato, ma è diventata la mia vita. All’età di dieci anni frequentai il ginnasio gestito dalle nostre suore. Venendo in treno, avevo la possibilità di partecipare, quasi ogni mattina, alla Santa Messa celebrata nel santuario originale e, nel pomeriggio, di fare un’altra breve visita al santuario prima di prendere il treno per tornare a casa.
A 12 anni entrai a far parte della Gioventù di Schönstatt, affascinata dalle biografie dei giovani studenti della generazione fondatrice, come Josef Engling, Max Brunner, ecc. A colpirmi maggiormente di loro era l’entusiasmo per gli ideali di Schönstatt, il fervore apostolico e, soprattutto, l’impegno personale, che traspariva chiaramente da quello che scrivevano nel proprio diario: sembravano dialoghi con la Madonna, alla quale raccontavano in poche righe le cose più e meno belle che avevano vissuto nella giornata. Questo tipo di “comunicazione” mi piacque, così iniziai anch’io a scrivere qualcosa alla Madonna.
La vita di questi primi eroi di Schönstatt, come venivano chiamati, mi colpì molto. Come loro, anch’io volevo fare grandi cose per Dio e il prossimo. A circa 15 anni, avevo praticamente già deciso cosa fare nella vita: volevo vivere gli ideali dell’alleanza d’amore e servire Dio in una missione, preferibilmente in Africa.
Una grande missione per la Chiesa e il mondo
Un’altra persona che mi impressionò fu una Sorella di Maria, mia insegnante, entusiasta di Schönstatt e soprattutto di p. Kentenich, che allora era a Milwaukee – in esilio.
Quella suora aveva aperto il cuore e la mente al carisma del fondatore e alla grande missione che egli portava avanti per la Chiesa e il mondo. Il fatto che p. Kentenich fosse in esilio non ci preoccupava, infervorati com’eravamo degli ideali di Schönstatt e di ciò che vivevamo ogni giorno. Eravamo pronti a fare sacrifici e a pregare affinché egli potesse tornare presto in patria.
La suora mi suggerì di andare da lui a Milwaukee. Io però esitavo, avevo paura. Ero timida, non sapevo di cosa avrei dovuto parlare con un fondatore così importante. Inoltre, avevo già deciso cosa fare nella vita: entrare nel gruppo missionario delle Sorelle di Maria di Schönstatt e iniziare da qualche parte una mia missione.
La suora però insistette: mi disse che chiunque, anche dopo un solo incontro con il fondatore, era diventato una persona migliore. L’idea di una trasformazione così rapida mi sembrava attraente, mi incuriosiva: ma non ero ancora pronta a recarmi da padre Kentenich.
Terminati gli studi, cominciai a lavorare come insegnante ma, dopo due anni, lasciai tale occupazione per iniziare la mia missione nella comunità. Ero certa che questa fosse la strada giusta. Tuttavia, mi dissero che avrei dovuto attendere sei mesi prima di unirmi alla comunità, poiché al momento non c’era nessuno che volesse andare in missione.
Una porta si chiude e se ne apre un’altra.
Forse Dio aveva chiuso una porta e ne aveva aperta un’altra, quella per Milwaukee? Ero titubante. Mi suggerirono di scrivere la storia della mia vita e di leggerla a padre Kentenich. Lui avrebbe pensato a tutto. Così, con il cuore in ansia, mi recai a Milwaukee. Il mio piano era di trovare un lavoro per pagarmi l’alloggio nella casa delle suore, andare a trovare padre Kentenich e tornare in Germania dopo quattro mesi per unirmi alla comunità.
Ero nervosa al pensiero di incontrare padre Kentenich; allo stesso tempo, però, ero curiosa di scoprire come faceva a rendere migliori le persone – e se ci sarebbe riuscito anche con me.
Quando lo vidi per la prima volta dopo un’adorazione al santuario, rimasi sorpresa. Era diverso da come me lo ero immaginato: era piccolo di statura ma aveva una voce forte; era affabile, semplice, affettuoso. Salutò tutti, anche me. Mi disse che mi aspettava, e questo mi fece allentare la tensione.